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Cos’è l’intento di ricerca e come sfruttarlo per l’analisi delle parole chiave
L’intento di ricerca – definito intenzione di ricerca o search intent – è ciò che le persone desiderano nel momento in cui digitano delle parole sul motore di ricerca. O magari usano la vocal search per ottenere determinati risultati sul proprio telefonino o un assistente vocale domestico come Alexa.
Ed è proprio da questa definizione che può iniziare il lavoro di ottimizzazione SEO e relativa keyword research. Un tempo l’idea era quella di individuare una parola chiave conveniente per la propria attività e ottimizzare la pagina in modo squisitamente schematico, compilativo. Vale a dire? Cosa significa?
Oggi c’è una tendenza differente. Non è più sufficiente inserire la main keyword nel tag title, nell’URL e nell’H1 per avere buoni risultati. Oggi bisogna individuare, conoscere e sfruttare l’intento di ricerca.
Cosa significa questo per chi si occupa di SEO copywriting? Esiste ancora questa definizione? Ecco cosa devi sapere per avere una buona combinazione di risultati grazie alle intenzioni di ricerca.
Indice dei contenuti
Cos’è il search intent, definizione
Per usare il search intent bisogna dare una spiegazione. L’intento di ricerca, in buona sintesi, è cosa si aspetta l’utente quando digita una parola chiave. O un insieme di termini fino a creare una query.
Che oggi può essere espressa anche attraverso comando vocale, cambiando definitivamente la struttura e gli equilibri puntando sempre di più verso un universo di ricerche long tail keyword.
E con un uso comune che, come puoi vedere dal grafico di financesonline.com, sta acquistando sempre più importanza anche rispetto alle nuove tendenze legate al Covid-19 e alle cure mediche.
Oggi essere rivolti verso la comprensione del search intent, noto anche come user intent, vuol dire distanziarsi sempre di più da una logica che semplifica la creazione di testi, superando una serie di dogmi che da sempre hanno caratterizzato, e spesso mortificato, il lavoro di content creation.
Per approfondire: come funziona la ricerca di Google
Quanti search intent conosciamo?
Nel tentativo di organizzare questo argomento si tende a sintetizzare le tipologie di user intent intorno a una serie di macro-categorie suggerite da questo grafico di Alexa. Ovvero query informative, navigazionali e transazionali (senza dimenticare quelle commerciali). Di cosa parliamo esattamente?
Le query transazionali sono quelle che includono un intento di ricerca rivolto verso l’acquisto, la prenotazione o comunque un’azione in grado di trasformare un utente in lead/cliente.
Sono le classiche keyword con un CPC alto e che di solito vengono utilizzate per creare delle campagne Google Ads da puntare su landing page studiate in modo da massimizzare il profitto. Attenzione, qui si stacca un sottoinsieme: le keyword commerciali. Sono ricerche effettuate da persone vicine a una possibile conversione ma che stanno ancora facendo ricerche per capire e orientarsi su un acquisto.
Le keyword navigazionali, invece, riguardano le ricerche che al loro interno hanno anche il nome brand e che vengono usate dagli utenti per raggiungere una pagina specifica. Le ricerche informative o informazionali sono quelle che riguardano l’aspetto editoriale, come quello espresso da un blog.
Le informative o informazionali sono parole chiave che permettono di intercettare un traffico non interessato almeno nell’immediato alla conversione ma che può essere prezioso per tanti altri motivi come la fidelizzazione, la profilazione dell’utente e la brand awareness. Ecco qualche esempio.
Navigazionali
- Scarpe Amazon
- Formattare PC Aranzulla
Transazionali
- Comprare scarpe Gucci
- Assicurazione auto
Informazionali
- Come chiedere un prestito
- Quando cambiare filtro aria?
Commerciali
- Miglior assicurazione auto
- Conto su Sanpaolo o Poste?
Perché studiare l’intento di ricerca?
Semplice, in questo modo puoi rispondere in modo semplice ed efficace alle richieste del pubblico. E ottenere uno dei risultati migliori per chi si occupa di content marketing: dare una pagina web capace di rispondere in modo sincero, reale e ben strutturato alla richiesta di un benefical pourpose. Vale a dire un concetto molto interessante che viene espresso nella guida PDF dedicata ai quality rater.
“The purpose of a page is the reason or reasons why the page was created. Every page on the Internet is created for a purpose, or for multiple purposes. Most pages are created to be helpful for users, thus having a beneficial purpose”.
Google
Il beneficial pourpose è il motivo o i motivi per cui la pagina è stata creata. L’obiettivo è quello di cogliere il search intent e intercettare la combinazione utile di contenuti in modo da soddisfare nel miglior modo possibile il pubblico. Non è un dettaglio superficiale e senza significato, anzi.
Questo può evitare uno dei drammi peggiori per proprietari di siti web, imprenditori, esperti SEO e web performer: dare un contenuto poco soddisfacente a chi sfoglia il sito web. Costringendo così l’utente a cambiare fonte dalla quale cogliere le informazioni necessarie per soddisfare la propria ricerca.
Cambia la SEO con il search intent
L’attenzione verso il search intent scava a fondo e rivoluziona il mondo della SEO costringendo chi ottimizza le pagine web a ripensare il modo in cui si confezionano i contenuti puntando su un aspetto fondamentale: la qualità è un valore che viene deciso dagli utenti e non da chi scrive i testi.
Che deve essere in grado, in primo luogo, di capire come dare valore reale all’utente. Cadono così una serie di paletti che in passato hanno caratterizzato il lavoro di scrittura, come l’abbondanza di testi in una pagina web: non è detto che per rispondere a un intento di ricerca sia necessario scrivere tanto.
Anzi: in alcuni casi sono le immagini a fare la differenza. O i video. O magari una tabella di numeri. Allo stesso modo la presenza della keyword nel testo, magari proprio nel tag title, non è più una condizione essenziale per il buon posizionamento: Google capisce se un contenuto è qualitativamente utile.
E riesce in questo a prescindere da questo e la prova di ciò che scrivo è nell’immagine in alto, non è la sovrapposizione perfetta tra tag title e query a fare la differenza. A questo punto è chiaro chiedersi quale sia la strada da seguire per ottenere delle informazioni chiare. Esistono dei tool utili?
Come trovare l’intento di ricerca?
Strumenti SEO avanzati come Semrush e Seozoom offrono delle soluzioni specifiche per indagare il search intent di una keyword. E scoprire, con maggior precisione, i bisogni e le ambiguità che si trovano in una query. Nello screenshot c’è un esempio chiaro, quello legato alla formattazione.
Sicuramente questi tool aiutano. Ma è chiaro che non basta questo per trovare il search intent e, soprattutto, per svilupparlo in modo chiaro per la propria strategia SEO. In questi casi Google resta una delle soluzioni migliori per avere informazioni chiare. Almeno fino a un certo punto.
Analizzare la SERP di Google è un passaggio fondamentale per capire cosa cercano le persone e quale contenuto può aiutare il SEO e il copywriter (o il SEO copywriter) a confezionare dei contenuti degni di nota. Anche grazie all’osservazione dei contenuti multimediali presenti nella SERP e del completamento di ricerca ottenuto con Google Suggest. C’è un punto da sottolineare però: non sempre c’è chiarezza.
Questo è un problema comune soprattutto alle query che comprendono parole singole con significati differenti, non accompagnate da altri termini che possono sciogliere l’ambiguità su Google.
Come risolvere questo problema?
Chi analizza deve, in primo luogo, indagare a fondo per creare dei contenuti in grado di far capire a Google esattamente di cosa si sta parlando. Quindi, ad esempio, per commentare il caso illustrato nello screenshot, è sconsigliato parlare di formattazione in modo generico ma bisogna contestualizzare.
In più puoi sfruttare il calendario editoriale. Come? Creando contenuti dedicati a temi correlati che spingono con link interni la pubblicazione che aiutano Google – anche attraverso la scelta del giusto anchor text – a far comprendere esattamente qual è il contesto in cui far apparire quel contenuto.
Da leggere: come usare Seozoom per la keyword research
Cosa succede adesso con la SEO?
La risposta è chiara: la keyword research è sempre indispensabile ma non può essere lasciata sola nel lavoro di content marketing. Bisogna studiare l’intento di ricerca e trovare la soluzione giusta per soddisfare l’utente. Anche quando il search intent è poco chiaro, ancora fumoso anche a causa di un supporto poco solido da parte dei vari SEO tool. Ancora una volta bisogna andare oltre i semplici dati.
Il primo strumento da mettere in campo è la capacità del singolo professionista di analizzare la situazione e prendere delle decisioni strategiche in grado di fare la differenza per il singolo progetto.
Mirko Ciesco
Web Performer
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Sono esperto in web performance, ottimizzo la SEO tecnica e miglioro l’usabilità dei siti internet attraverso la web analytics. Creo strategie vincenti partendo dai problemi delle Startup e delle aziende. Infine tengo corsi personalizzati online e in tutta Italia con la mission di rendere il web un posto migliore.